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Efriel
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Messaggio  minnie Mar 24 Feb 2009, 6:59 pm

Loriano Cappè, professore di lettere al Liceo Garibaldi




Quando Loriano Cappè prese alloggio nel nostro piccolo condominio tutti pensammo, ecco un altro terrone che arriva dal sud, speriamo che non pianti basilico nel bidè, come avevamo sentito dire che era già accaduto in altre case.
Erano i primi anni ‘60 e spesso sui portoni delle case c’erano cartelli che dicevano “vietato l’ingresso ai terroni ed ai cani”.
Giuro, me li ricordo come se fosse ieri, ma per i milanesi di allora non parevano strani: a ripensarci oggi bisognerebbe spararsi in mezzo alla fronte dalla vergogna.
Era la grande Milano, quella che “tuti disen con il coer in man!”
Tornando a Loriano, da subito non piacque a nessuno, non gli si perdonava nulla, nemmeno di essere piccolo, grassottello, perennemente lucido di sudore e con gli occhi leggermente bovini.
Di età indefinita, aveva pochi capelli grigi ed un accento siciliano così evidente, che quando parlava in fretta non si capiva più di tanto.
Si scoprì poi che era professore di lettere, proprio al liceo del quartiere, il mitico Liceo Garibaldi, il colpevole di avere unito l’Italia al sud ( Garibaldi, non il liceo).
In quegli anni molti dicevano che l’Italia vera finiva al Po. Poi scendendo, il confine si abbassava, a volte dopo la Toscana o persino il Lazio, ma mai comprendeva il Sud.
Loriano dopo pochi mesi però era diventato il professore che dava ripetizioni a quasi tutti i figli del condominio, quasi obbligato a fare sconti avendogli concesso l’onore di abitare con noi; allora terrone o no nessuno si lamentava più. Business is business!
Dava lezioni di latino anche a me, che ero già in quarta ed regolarmente rimandato in quella materia; con lui finalmente riuscii a essere promosso persino con il sette, grazie alla sua infinita pazienza e amore per la materia.
Mi accorsi poi che era l’unico prof. che la classe stimava forse perché non alzava mai la voce, ti guardava negli occhi e sembrava che sapesse cosa pensavi, ma nonostante ciò che davvero vi leggeva, era disposto a capirti.
Era severo ma giusto nei giudizi e piano piano tutti gli studenti iniziarono a cercare il suo consenso e amarono la letteratura solo perchè lui la sapeva fare amare .
Non è facile trovare professori così e fu proprio a causa sua che poi anch’io divenni insegnante di lettere.
Ma se lui era stato accettato, era la classe invece ad avere problemi.
I ragazzi non si amalgamavano tra loro, anzi, serpeggiava sempre una certa aria di guerra ma più che per cose adolescenziali, probabilmente era una questione di classi sociali e territorio.
Il quartiere infatti era in una zona bene di Milano, ma dopo la guerra c’era stata una “risalita” di meridionali e una immigrazione dalle periferie che i ragazzi della zona non avevano accettato.
Il prof. si accorse persino che per entrare a fare parte di certe cerchie di amicizie, bisognava pagare un dazio, che allora si limitava ad essere qualche pacchetto di sigarette , una pizza o un cinema.
Una cosa gravissima secondo lui ( e anche secondo me), perché l’amicizia non si compra, ma soprattutto non si vende.
La cosa era accettata con rabbia dai ragazzi che dovevano pagare questo balzello, ma non avevano scelta se volevano fare parte di un gruppo; la sensazione era che avessero bisogno di mimetizzarsi al più presto tra i ragazzi del nord per sentirsi uguali a loro.
Il professore osservava, si immedesimava nei piccoli meridionali ed in coloro i che venivano presi in giro o scansati per vari motivi e soffriva.
Pensando ad una via d’uscita alla fine la trovò: distribuì in classe una specie di questionario dove ognuno in modo anonimo poteva dire cosa pensava dei compagni
Dopo qualche giorno ritirò i fogli, li portò a casa e li studiò attentamente.
Compilò a sua volta un foglio intestato a ciascuno dei ragazzi, dove riportava tutti i giudizi espressi nelle pagine che li riguardavano direttamente.
Mi ricordo che fu una giornata strana, su tutti si posò una sensazione di benessere, tutti erano stupiti di essere apprezzati e benvoluti in modo (ebbene sì.) così gratificante.
Anche i ragazzi più turbolenti si sentirono accettati ed amati e per non smentirsi, cercarono di adeguarsi ai giudizi positivi che avevano ricevuto.
Loriano aveva aperto uno spiraglio sulla reciprocità.
Quando finimmo il liceo, l’amicizia tra noi era così solida, che la nostra classe era invidiata da tutti.
Tempo fa purtroppo ci ritrovammo quasi tutti al funerale del nostro beneamato professore Loriano Cappè , il passaparola funzionò in modo spontaneo e tra vera commozione , sorrisi e pacche sulle spalle, scivolammo nell’inevitabile nostalgia dei ricordi.
Mancò solo chi non venne rintracciato.
Qualcuno era diventato più grasso, qualcuno aveva fatto carriera, altri si erano dovuti accontentare, ma il ritrovarsi ci faceva rivedere e rivivere con gli occhi di allora.
“ Ti ricordi quella volta che ..e quella volta…certo eravamo dei bastardi…che fine ha fatto Michele Bardi…e tu quanti figli hai?...”
Fu Rosario Montalbano a tirare fuori per primo dal portafoglio, quel famoso scritto che Loriano aveva compilato per ognuno e che nessuno aveva mia esibito per pudore.
“ Ma davvero pensavate questo di me? Sapete non ci avrei mai creduto, ma tutte quelle belle parole mi fecero alla fine sentire migliore.”
“Anch’io ce l’ho ancora quel foglio, eccolo qua..” disse Marco detto Il Polenta e lo sfilò dalla patente .
“Ehi , ma perché, io no?” ecco Renato , quello con gli occhiali a culo di bottiglia.
Bè, ci crederete? Quasi tutti avevano conservato quel foglio, come se fosse stato un diploma di benemerenza; le parole di simpatia e considerazione che vi avevano letto li avevano costretti ad essere il riverbero di tutto quell’affetto messo nero su bianco.
Com’eravamo innocenti, allora!
Ecco dunque quale fu il vero miracolo del piccolo professore Loriano Cappè, il terrone: aveva dato a tutti la possibilità di sentirsi stimati e quindi contraccambiare.
Io ero commosso più di tutti perché ero il solo a conoscere la verità, e non l’ho mai svelata a nessuno in tutta la mia vita.

Quando Loriano si era ammalato mi aveva mandato a chiamare; dopo tanti anni stavamo ancora nella stessa casa.
Scesi le scale. Lui mi aspettava in salotto con un bicchiere di vino in mano anche se erano solo le nove di mattina, tanto ormai poteva permettersi di berne anche dieci, la sua situazione non sarebbe cambiata e diceva che un poco di vino gli scaldava il sangue.
“Dunque Franco, come ti trovi ad insegnare? Ormai sono quattro anni che lo fai, come sono i ragazzi di oggi, dimmi..”
Parlammo a lungo, ma intuivo che c’era qualcosa che voleva dirmi e alla fine si decise:
“Franco, voglio che tu abbia questa cartellina. Sai cosa contiene vero? Dimmi Franco, ho forse sbagliato?”
Solo allora capii la verità.
“No professore, non ha sbagliato.”
Lui fu contento di sentirmelo dire, si sedette nella sua vecchia poltrona guardando fuori dalla finestra, mentre finiva di bere il suo vino, come se io non ci fossi già più.
Io me ne andai in silenzio, con quella cartellina rossa piena di vecchi fogli su cui erano stati scritti gli insulti più sinceri, feroci ed originali che la nostra adolescenza inquieta ci aveva suggerito.



ecco qua, vedi se è adatto. Caledoscopio va benissimo, rende perfettamente l'idea. alien
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Messaggio  Efriel Mar 24 Feb 2009, 10:00 pm

Ok preso
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