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STORIA VERA DI UNA NONNA...

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Messaggio  Pakyotti Lun 15 Mar 2010, 10:08 am

Sono quasi le sette, solo le sette, il tempo mi è sembrato così lungo...
Da quando mi hanno portata qui al Ricovero, le giornate mi sembrano interminabili.
Sola su quella poltrona ti seguo Signore su quella piccola croce appesa alla testa del mio letto.
E' duro, Signore, trovarmi qui; ma senz'altro è stato meglio così.
Tu sai, ho avuto molti figli e ho fatto tanti sacrifici per farli studiare o per avere un mestiere.
Oggi sono tutti sistemati; mi sembra di aver fatto tutto il possibile per loro.
Ma tu, Signore, sai gli anni passati e loro sono così diversi...
Ho l'impressione che mi abbiano abbandonata, non ho più quasi notizie di loro. So Signore che sono molto occupati con la loro "piccola famiglia": così sarei un vecchio giocattolo, un peso per loro, un problema...
Signore, oggi è Domenica e nessuno è venuto a trovarmi. Se sapessero: quanto li ho aspettati; eppure io voglio tanto bene a loro.
A Te lo posso ben dire: ora che non sono più utile a nessuno, verrai Signore presto a prendermi?

(T.Z.)

No Quando si dice che un genitore riesce a mantenere 10 figli, e un figlio non riesce a mantenere un genitore...è tutto dire! No
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Messaggio  Efriel Gio 25 Mar 2010, 2:55 am

dire che è molto bello, non rende giustizia allo scritto.ti abbraccio
Ef
Incontro con la Signora

Faceva caldo, normale per la fine di giugno, solo che l’aria condizionata della macchina non funzionava, e i finestrini abbassati dell’auto portavano il morso caldo dello scirocco, associato al puzzo degli scappamenti, per fortuna le scuole erano già chiuse e il traffico era minore di altri periodi, il lungo serpente di auto sulla tangenziale era snello e veloce, se così si può dire,ma il caldo era tanto ed io ero in anticipo per un appuntamento.Una parte di me stava elaborando un sistema di apertura di una porta, un progetto nato tra gli chalet di Courmayor,una porta che permettesse di ottimizzare gli spazi nei corridoi e nel contempo avesse un aspetto classico, l’idea aveva preso forma nel viaggio di ritorno di allora, in realtà era solo un problema tecnico di apertura e scorrimento sincroni, solo che non esistendo ancora, avevo dovuto progettare tutti i meccanismi, e non sempre l’immagine visuale che si forma nella mia testa, prendeva in considerazione tutti i movimenti e le libertà che la porta si prendeva, ora, dopo un paio di anni e cinque tentativi, i problemi erano stati risolti tutti, il prototipo era quasi pronto, ed era ora di presentarsi a centro campo con il risultato,avevo trovato anche un nome per un nuovo tipo di porta, si sarebbe chiamata” Motylku” ed avrebbe affiancato la classica porta a battente, la scorrevole, la libro e, la meno apprezzata di tutte, la soffietto.Mi godevo questi pensieri, rimuginando sul fatto di avere creato qualcosa di nuovo un qualcosa che prima non c’era, ed intanto, l’altra parte di me gestiva il viaggio,freccia destra per l’uscita, rampa di decelerazione,stop,sguardo nelle due direzioni e via a sinistra verso la città.Il caldo era sempre presente, anche se la mente cercava rifugio nel visualizzare i movimenti dei meccanismi, creando un vuoto o un’ombra,il caldo pervadeva anche quell’angolo.Un bar e un posto per parcheggiare, un poco di tempo ancora l’avevo, così decisi di fermarmi a bere qualcosa di fresco.La strada in cui stava il bar era fiancheggiata da alberi messi a dimora quando ancora si usava mettere gli alberi ai lati delle strade, il bar aveva due di questi alberi che lo incorniciavano come due soldati, una sola vetrina, un bar piccolo, adatto alle piccole esigenze degli abitanti del palazzo che sovrastava il bar ,avevano, un cappuccino e magari a pranzo un aperitivo.La porta d’ingresso aveva ancora quelle tendine di una volta, quelle che tengono lontane le mosche e promettono frescura e penombra all'interno,un cosa fresca è tutto quello che cerco,poi via all’appuntamento, mi piace sempre arrivare in anticipo agli appuntamenti, detesto i ritardi,mi sembrano una mancanza di rispetto.Il bar, ad una prima occhiata sembra vuoto, il classico baretto col bancone di formica verde e il jukebox alla parete, solo che oggi non ci sono più i jukebox, ci sono le macchinette mangiasoldi,due tavolini tondi di epoca anni 60 completano l’arredo, c’è un tipo al bancone, mi da le spalle,ma la cosa che m’incuriosisce in lui è il mantello nero con il cappuccio sollevato sulla testa, sulle prime non do molto peso alla cosa, gente strana ce n’è in quantità, poi col caldo ,ancora di più, chiedo un succo di frutta ad un barista con la faccia piena di stupore, il suono della mia voce fa girare il cliente col mantello nero,ha in mano un bicchiere con qualcosa di freddo, le goccioline di condensa di formano veloci sulla superficie del vetro e scivolano in grosse gocce che cadono sul linoleum consumato dal tempo,all’interno del cappuccio due occhiaie vuote mi fissano, c’è un teschio all’interno del cappuccio, giro gli occhi meccanicamente quasi cercando una conferma, e la conferma è lì ferma appoggiata all’angolo tra la porta del bagno e la macchinetta mangiasoldi, una falce, anzi,”La falce “è lì. Fisso quel teschio,strano, non ho paura, anzi la prima cosa che mi viene in mente da dire è –Fa caldo, non trova?- non capisco se il rumore che sento sia il suo riso oppure il tonfo del barista dietro il banco, poi la voce della Morte arriva alle mie orecchie –Già,per questo sono entrata in questo bar, per bere qualcosa, sapesse il caldo che fa tenere questo mantello- .-E cosa la porta in questo posto, lavoro?- Mi sembrano frasi senza senso, ma sono le uniche che affiorano alle mie labbra, - Sì, lavoro, aspetto qualcuno e visto che tardava ho deciso di rinfrescarmi con una bevanda fresca.- la curiosità è tanta, molta di più della paura, non capita spesso di trovare la Morte a sorseggiare una bibita in un bar, non trovate? Sono mille le domande che vorrei fare, la prima di tutte è dove porta quelli che la Falce prende,poi come sceglie chi prendere,se non si riposa mai,mi viene in mente un vecchio film che avevo visto da piccolo, s’intitolava “Il settimo sigillo” e raccontava di un cavaliere e di una partita a scacchi con la morte, ricordo che non avevo dormito granché quella notte, ed ora la Morte era lì davanti a me, faticavo a credere ai miei occhi, eppure, per sincerarmi toccai il mantello, solido, concreto,niente di più niente di meno, allora chiesi - Conosce chi deve prendere? E’ qualcuno del palazzo?- -E’ qualcuno che entrerà in questo bar , qualcuno del palazzo, qualcuno che trova ormai inutile la sua vita e mi ha cercato tante di quelle volte che ormai ho deciso di esaudire il suo desiderio, e sono venuta a prenderlo- Dovrei andare, la sete mi è passata e sono quasi in ritardo per l’appuntamento, quasi, ma voglio vedere, voglio vedere chi implora la venuta della morte, non devo aspettare molto, le catenelle della tendina si aprono ed una signora anziana e con gli occhi spenti entra,ha il passo incerto di chi ha molto camminato, troppo, si dirige ad uno dei due tavolini e si siede,la morte fissa la signora, si volta e raggiunge la sua falce, le cose vanno fatte con criterio e metodo, la morte odia l’improvvisazione, io sono davanti al bancone,la signora è seduta ad un passo da me le mani sulle ginocchia unite, fissa il piano in linoleum, sembra sia già morta,non sembra malata, solo triste,lo sguardo è di chi soffre di solitudine e cerca negli occhi altrui la scintilla che i propri hanno perso, dal piano di linoleum i suoi occhi hanno raggiunto i miei, sembra non accorgersi della signora col mantello,e la morte non ha fretta, sembra quasi divertita, forse io non ero contemplato, ed un diversivo offre sempre uno spunto.-Buon giorno-dico, forse a voce un poco più alta del dovuto,-Buon giorno-risponde lei, ora sono sicuro che all’appuntamento arriverò tardi, ma voglio conoscere questa persona per cui la morte è venuta,-Posso offrirle qualcosa di fresco?-Mi sento un poco ridicolo, non so come iniziare la conversazione, eppure sono curioso, la Morte è appoggiata alla falce, tranquilla, l’espressione del teschio sotto il cappuccio e rilassata, forse è curiosa di vedere dove vado a parare.- Grazie,una gazosa va bene- Gazosa, saranno anni che no sento più il termine gazosa, ora si usa Sprite, SevenUp, ma gazosa, ormai la usano solo le signore della sua età, vede il mio sorriso me ne chiede motivo, glielo spiego, ed ora sorride anche lei, povera vecchietta, mi chiedo in quanti siano nelle sue condizioni in questo palazzo, un pensiero corre a mia mamma, ancora lontana dalla sua condizione, lontana però non significa nulla, un giorno anche lei potrebbe essere seduta dove ora sta questa signora, e il pensiero mi da una fitta al cuore, ho un ricordo di me stesso ammalato che sproloquiavo sul fatto che lei, mia mamma non morisse mai,è un attimo,torno alla signora, il barista si deve essere ripreso dallo svenimento perché la gazosa è sul tavolo davanti alle mani striate di vene in rilievo bluastre della signora, la domanda seguente è tratta direttamente dal guinnes dei primati di superficialità -Come va?- La vedo tentata da una risposta retorica, un classico”Non c’è male”, ma decide di rispondere in altro modo, forse le ricordo qualcuno, non so, so solo che, come si dice in questi casi “Apre il libro”e non è un bel libro, è un libro pieno di egoismi, di ripicche di rimpianti di figli che non si ricordano di lei nemmeno alle feste comandate, che vedono con fastidio il fatto che lei sia ancora viva,episodi di una vita spesa nel misurare il centesimo per crescere dignitosamente, che parola desueta, una famiglia,la sua, cognati e cognate estinti dal tempo che passa, fratelli scomparsi nelle pieghe della propria vita ,la vecchiaia accompagnata dai mali oscuri, quelli che non si nominano nemmeno, un marito portato via proprio da uno” di quei mali là”, mi mostra anche la foto di suo marito, vedo le dita tremanti aprire quei portafogli tipici delle vecchie signore e mostrarmi con orgoglio il consorte,fisso la foto di un uomo che non c’è più, negli occhi cerco le speranze che agitavano il suo cuore,-Aveva quarantasei anni- mi dice, - In tre mesi il male se l’è preso- 46 anni, la mia età, un brivido mi corre lungo la schiena,la signora avrà passato gli 80 comodi,ha percorso più di metà della sua vita senza la persona che amava, eppure ne parla come se fosse successo ieri, forse il tempo si ferma quando muore chi si ama. Poi tace, io sono imbarazzato, mi sono riconosciuto in molte cose che ha detto, le volte che mia madre ha detto”Non Importa” ora mi pesano come pietre nel cuore,le volte in cui ho visto solo la mia comodità ed ho negato a lei qualcosa che mi costava veramente poco,mi rendo conto di aver solo preso e di non aver mai dato,guardo i suoi occhi, ed è come se vedessi quelli di mia madre,poi non vedo altro che nebbia, le lacrime scorgano sul mio viso e chiudono la vista, tutte la cose che ho ritenuto importanti mi sembrano solo capricci di un bambino viziato, mi chiedo con ansia se avrò il tempo di rimediare, certo il passato è passato, ma spero di avere almeno un futuro da dedicare a lei. Quando il fazzoletto di carta mi asciuga gli occhi,e torno a vedere, la signora ha il capo leggermente reclinato sulla spalla, il viso mostra l’ombra di un sorriso sereno,il portafogli è ancora semiaperto sul tavolo
la foto del marito è lì che mi fissa dalla formica verde , mi giro verso la Morte, non so cosa dire o cosa fare per la signora, so solo che non voglio che muoia!Alle mie spalle, c’è il muro, la porta del bagno che fa angolo con la macchinetta mangiasoldi, ma della Morte nessun segno, siamo solo noi tre nel bar, io, la signora che mi sorride serena ed il barista, ed è lui che si accorge che qualcosa non va, lo vedo avvicinarsi a me, toccarmi la spalla ed indicarmi la signora, mi mormora all’orecchio”E’Morta!” –Sì-rispondo io,ma ora è felice, questo però non glielo dico,esco dal bar senza nemmeno pagare,salgo in macchina, accendo il cell, chiamo casa di mia mamma, risponde al terzo squillo- Mamma- -Sì- risponde con la sua voce calda-Prepara qualcosa che venga a pranzo- So che le fa piacere avermi a pranzo, so di tante cose che le fanno piacere, e che ho sempre o quasi evitato per mia comodità, ognuno, crescendo ha una sua vita, questo sta nelle regole del gioco, ma non c’è scritto da nessuna parte che si deve dimenticare chi ci ha dato la vita, la voce cambia tono, è gioiosa-Per che ora ?- mi chiede -Sto arrivando, e, mamma- -Sì- -Ti voglio bene!-

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Messaggio  Pakyotti Gio 25 Mar 2010, 8:09 pm

Caspita Efriel, complimenti per il tuo scritto...devo dire che mi hai fatto rabbrividire!
Sappi che con i miei genitori ho un bellissimo rapporto, non ci si dimentica mai di abbracciarsi, di ridere e scherzare, e perchè no? Anche di giocare...e come si gioca tra di noi...chi non vede non ci crede...e quando hanno bisogno sono sempre pronta e disponibile ad aiutarli...
Tante volte ci si dice che ci vogliamo bene...pacifico poi, a volte si bisticcia (l'amore non è bello se non è litigarello Razz ) però si fa subito pace...
Devo dirti che la lettera che ho scritto io, purtroppo non è frutto della mia invenzione, ma ho trovato una vecchina all'ospizio che me l'ha consegnata...io ho fatto di più: l'ho imbucata nella cassetta della posta della palazzina dove abitano i suoi "figli" scusa se metto le virgolette...ma sono molto arrabbiata e delusa di loro...che quella parola, mi sembra troppo per loro! No No No
Un abbraccio!
Pakyotti
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